giovedì 27 dicembre 2007

Giovanni Gentile


Gentile nasce nel 1875 da Giovanni, farmacista, e Teresa Curti, figlia di un notaio. Vive la sua infanzia a Campobello di Mazara. Nel 1895 vince il concorso per quattro posti di interno della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia. Dopo la laurea nel 1897 ed un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile ottiene una cattedra in Filosofia presso il liceo Mario Pagano a Campobasso.
Durante gli studi a Pisa incontra Benedetto Croce con cui intratterrà un carteggio continuo dal 1896 al 1923: argomenti trattati dapprima la storia e la letteratura, poi la filosofia. Uniti dall'idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), combattono insieme la loro battaglia intellettuale contro il positivismo e le degenerazioni dell'università italiana. Fondano nel 1903 la rivista La critica, per contribuire al rinnovamento della cultura italiana: Croce si occupa di letteratura e di storia, Gentile, invece, si dedica alla storia della filosofia. In quegli anni Gentile non ha ancora sviluppato il proprio sistema filosofico. L'attualismo avrà configurazione sistematica solo alle soglie della prima guerra mondiale. Nel 1920 fonda il Giornale critico della filosofia italiana.
All'inizio della prima guerra mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, Gentile si schiera a favore della guerra come conclusione del Risorgimento italiano. Fino al 1922, Gentile non mostra alcun interesse nei confronti del fascismo. All'insediamento del regime fascista, viene nominato ministro della pubblica istruzione (1922-1924, per dimissioni volontarie). Come ministro attua nel 1923 una significativa riforma scolastica. Nel 1923 Gentile si iscrive al partito fascista con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l'allontanamento definitivo da Benedetto Croce, che gli risponde con un contromanifesto.
Per le numerose cariche culturali e politiche, esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana e specialmente sul suo aspetto amministrativo e scolastico. Nel 1925 promuove la nascita dell'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, di cui è presidente fino al 1937. Non mancano comunque i dissensi col regime. In particolare il suo pensiero subisce un duro colpo nel 1929, alla firma dei Patti Lateranensi tra Chiesa cattolica e Stato Italiano: sebbene Gentile riconosca il cattolicesimo come forma storica della spiritualità italiana, non può accettare uno Stato non laico. Questo evento segna una svolta nel suo impegno politico militante. Inoltre Gentile non appoggerà mai le leggi razziali del 1938, come si evince da un carteggio con Benvenuto Donati durato per tutto il periodo tra il 1920 ed il 1943. Nel 1934 il Sant'Uffizio mette all'indice le opere di Gentile e di Croce. Nel 1936 comincia una lunga polemica contro il ministro dell'Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi.
Nell'autunno del 1943, su invito di Benito Mussolini e dopo aver subito un duro e inatteso attacco da parte del ministro badogliano Leonardo Severi, Gentile aderisce alla Repubblica di Salò, auspicando tuttavia il ripristino dell'unità nazionale,e diventa presidente dell'Accademia d'Italia, con l'obbiettivo di riformare l'Accademia dei Lincei, e direttore della Nuova Antologia, con il proposito di accogliere "collaboratori non fascisti".
Considerato, da alcune componenti politiche della resistenza, come uno dei principali responsabili del regime fascista, viene assassinato il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua casa di Firenze, al Salviatino, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP.
I due gappisti fiorentini, Bruno Fanciullacci (catturato e ucciso alcuni mesi dopo dalle forze italo-tedesche in un tentativo di fuga, e al quale poco tempo fa nel comune di Pontassieve è stata dedicata una via) e Antonio Ignesti, si appostarono verso le 13,30 nei pressi della Villa del Salviatino e appena il filosofo giunse in auto, gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per camuffarsi da studenti. Il filosofo abbassò il vetro per prestare ascolto ma fu subito colpito da una raffica. Fuggiti i due gappisti (che trovarono rifugio in casa del pittore Ottone Rosai, che stigmatizzò il fatto con dure parole), l'autista si diresse all'ospedale di Careggi per trasferirvi il filosofo morente, ma invano.









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