sabato 24 novembre 2007

Yukio Mishima


Yukio Mishima nasce a Tokio nel 1925 col nome di Kimitake Hiraoka, assumerà lo pseudonimo d’arte nel 1941. A scuola viene deriso per il suo corpo gracile e la madre lo indirizza verso la scrittura. Pubblica delle prime novelle su una rivista scolastica. Nel 1944 viene pubblicata la sua prima raccolta di novelle dal titolo La foresta fiorita e in una settimana vende migliaia di copie. In questa fase della sua vita Mishima è solo uno scrittore, non ha attenzione del proprio corpo né nutre alcun interesse per l’azione. In Sole e Acciaio dichiarerà: «Con ogni evidenza nella prima fase [della vita] mi ero identificato nel linguaggio e consideravo estranei la realtà, il corpo e l’azione». Questa fase va avanti fino alla redazione di Confessioni di una maschera (1949), romanzo quasi autobiografico; questo libro lo consacra a nascente astro della letteratura giapponese. Nel 1958 dà alle stampe il romanzo Il padiglione d’oro: qui Mishima racconta di un ragazzo balbuziente che soffre della sua malattia perché non gli dà la possibilità di «entrare nella vita»; in un ambiente dove tutto si richiama alla bellezza fisica delle statue rinascimentali, il giovane Mizoguchi si sente escluso e decide di incendiare il tempio di Kyoto, in Giappone simbolo della bellezza architettonica; in questo modo il protagonista si sente migliore non perché abbia subito una qualche crescita o catarsi, ma perché il mondo che lo circonda è divenuto più scadente e quindi anche lui può avere un «degno» ruolo nella società. Forse qui Mishima già critica implicitamente la decadenza di tutto il Giappone che prende velocità ogni giorno di più dalla sconfitta della guerra. Nel 1965 e nel 1967 il suo nome compare nella lista dei candidati al premio Nobel per la letteratura, vinceranno il russo Šolochov e il giapponese Kawabata. La seconda fase di Mishima coincide con la pubblicazione di Sole e Acciaio: la scoperta della propria identità fisica, l'interesse per la pratica delle arti marziali e la ricerca di un «linguaggio del corpo»; da letterato amante della luna Mishima si trasforma in guerriero amante del sole. Voleva distinguersi dalla massa di scrittori che erano al tempo stesso causa e conseguenza dell’americanizzazione e quindi si rende conto «che si stava avvicinando un’era in cui trattare il sole da nemico sarebbe stato come seguire il gregge». Non riesce più a vivere solo con la letteratura, sente che il corpo gli può dare qualcosa di inedito e straordinario e si creano così «da un lato la risoluzione a favorire fedelmente l’azione corrosiva del linguaggio e a farne il mio lavoro, dall’altro l’esigenza di entrare in rapporto con la realtà in uno spazio assolutamente non toccato dal linguaggio». Col tempo il suo corpo si trasforma in quello di un atleta: frequenta una palestra di body-building, impara il kendo e il pugilato. L’ultima grande opera letteraria di Mishima è la tetralogia intitolata Il mare della fertilità: quattro romanzi che definire stupendi sarebbe troppo poco. La reincarnazione, l’amicizia e la decadenza del Giappone sono i temi principali dei quattro romanzi che compongono la tetralogia. Mishima crede nella purezza, nella bellezza e nella forza della gioventù: «La saggezza dei vecchi è eternamente opaca, e l’agire dei giovani eternamente limpido. Quanto più si prolunga la vita, tanto peggio diventiamo». Per questo è convinto che sia conveniente morire in gioventù, quando si è all’apice della bellezza, in vetta. «Essere capaci di fermare il tempo quando si presenta alla vista la risplendente bianchezza della vetta», un concetto più comprensibile se integrato con l’ultima frase scritta da Mishima su un bigliettino prima di suicidarsi: «La vita umana è troppo breve, e io vorrei vivere per sempre»; morire giovani vuol dire vivere per sempre e al culmine della bellezza. Mishima si suicida il 25 novembre 1970, all’età di quarantacinque anni, all’apice del suo genio letterario. Dopo aver preso in ostaggio il comandante della caserma Ichigani, arringa i soldati con un memorabile discorso sul significato dell’esercito, sul valore che un guerriero deve avere e sull’agonia del Giappone americanizzato; grida alla folla: «Noi ora testimonieremo a tutti voi l'esistenza di un valore più alto del rispetto per la vita. Questo valore non è la libertà, non è la democrazia. È il Giappone. Il Paese della nostra amata storia, delle nostre tradizioni: il Giappone». E per il Giappone e per la sua Tradizione che Mishima si squarcia il ventre e si fa decapitare nel rituale samurai del seppuku, nella speranza che questo sacrificio desti gli ultimi veri giapponesi verso la rivolta contro chi vuole uccidere la sua patria. Il senso della vita, della morte ed anche dei trascorsi artistici di Mishima, è nella ribellione contro il mondo moderno, in questa lotta che si deve intraprendere e perseguire comunque.

Nessun commento: